II LEZIONE
1. Finalità di EG: dare vita ad una nuova tappa evangelizzatrice
1.1. Avendo presente la tematica sviluppata dalla 13ª Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" (7-20 Ottobre 2012), l’Esortazione ha un tema preferenziale, cioè, l’evangelizzazione o l’azione missionaria, “paradigma di ogni opera della Chiesa” (EG 15). L’invito pressante dell’Esortazione si orienta a una “conversione missionaria” (EG 25) di tutta la Chiesa[1]. L’invito del Papa è di assumere uno stile evangelizzatore “in ogni attività che si realizzi” (EG 18). “Intendiamo porre tutto in chiave missionaria” (EG 34). L’azione missionaria è il “paradigama di ogni azione della Chiesa”, perché la missione è la natura della Chiesa. E’ difficile incoraggiare la partecipazione nel “fare”, nell’azione, se non si ha coscienza chiara dell’”essere”. Bisogna ripeterlo ancora: l’evangelizzazione non è qualcosa che il cristiano fa, ma qualcosa che vive, perché è il suo essere. E’ qui dove nasce la gioia del Vangelo e la gioia dell’evangelizzazione[2].
Questa è la dottrina conciliare che troviamo in AG 2 e ripetuta nello stesso Decreto, parlando della formazione sacerdotale: “I sacerdoti rappresentano il Cristo e sono i collaboratori dell'ordine episcopale nell'assolvimento di quella triplice funzione sacra che, per sua natura, si riferisce alla missione della Chiesa (cf. LG 28). Siano dunque profondamente convinti che la loro vita è stata consacrata anche per il servizio delle missioni. […] Nell'insegnamento poi delle discipline dogmatiche, bibliche, morali e storiche mettano bene in luce quegli aspetti missionari che vi sono contenuti, al fine di formare in questo modo una coscienza missionaria nei futuri sacerdoti” (AG 39).
Giovanni Paolo II è ancora più chiaro e concreto: “Ogni chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata ed evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie, associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola. L'azione evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale, è il segno più chiaro della maturità della fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede” (RM 49).
1.2. Questo discorso sulla missionarietà fondamentale della Chiesa e di ogni cristiano non è nuovo per il Papa. Infatti, “i cristiani, aveva detto, siamo discepoli del Maestro, perciò non possiamo guardare la realtà se non in termini di missione. Non siamo osservatori imparziali, ma uomini e donne che desiderano impregnare tutte le strutture della società di un amore che abbiamo conosciuto e che nell’incontro con la realtà è capace di trasformarla in vita abbondante”[3]. Commentando con numerose riflessioni la celebrazione di Aparecida, il Card. Bergoglio scrive: “Si dice che il Documento sia il penultimo passo di Aparecida: l’ultimo è la missione, che ampollosamente alcuni chiamano «Gran Missione Continentale». L’annuncio di Gesù Cristo. Siamo consapevoli che l’annuncio di Gesù Cristo si sia un po’ ammalato, no? E che siamo deboli e che, poco a poco, molte chiese con molti agenti pastorali cadono nella burocratizzazione, nella pastorale del puro organigramma o nell’establishment. E quando si cade in questo, si paga con l’annunciare poco, o annunciare meno, o annunciare debolmente, o annunciare male Gesù Cristo. Dalle prospettive pastorali è emerso un «idoletto» che lo spirito di Aparecida cerca di demolire, che è la gestione. Veneriamo la gestione. Purché sia una buona gestione. Intendiamoci, tutto questo è vero, ma sono semplici strumenti, ciò che conta è la missione, l’evangelizzazione. Questo tema della missione, dell’evangelizzazione, è lo spirito che incoraggia tutto il piano pastorale, tutta l’organizzazione pastorale, inclusi tutti i progetti funzionali alla pastorale, tutto l’organigramma pastorale, ma è dalla missione che parte l’annuncio di Gesù Cristo”[4].
Il papa invita, quindi, a giudicare tutto il fare della Chiesa con il prisma della missione. Abbiamo visto che questo era il proposito di Aparecida. Animare un nuovo tipo. Un nuovo modello di Chiesa, non più legato alla passività di una pastorale di conservazione, ma progettato verso la missione. La missione è il criterio per giudicare la vitalità della Chiesa, come ci ricordava Giovanni Paolo secondo, appena citato. Alla luce della missione si deve fare teologia, si deve ripensare la morale e la legge, comprendere tutto ciò che dice relazione alla fede. Di fatto, tutto è orientato alla missione e guidato dalla missione. Sotto questo orientamento lo stesso studio accademico acquista nuovo significato e una nuova rigenerazione. La responsabilità dei centri universitari cattolici è molto grande in questo contesto: preparare pastori capaci di portare a termine questo profondo cambiamento ecclesiale. La formazione accademica è indispensabile per poter evangelizzare[5]. La storia conferma che quando il clero è ignorante, il popolo non riceve la Parola in modo conveniente; questo fatto motivò la nascita degli Ordini Mendicanti. Papa Francesco ha spinto i pastori su questa direzione: da qui il fatto di “uscire”; se non si esce non si produce l’incontro, né il confronto, né il dialogo, né l’annuncio; non c’è “odore di pecora”, né, probabilmente, “odore di Cristo”.
1.3. “Sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione»” (EG 25). In queste parole, il Papa supera la visione molto più stretta e rigida del Sinodo dei Vescovi. Il fatto di parlare in prima persona, assume una serietà, un impegno personale e una responsabilità che non può non coinvolgere tutti i cristiani. In modo che, l’interesse per il cristiano oltrepassa ciò che il Papa dice, perché in questa lunga narrazione anche il lettore diventa protagonista. Comunque, solo dall’essere missione nasce lo stato permanente di missione, è la conseguenza necessaria. Il problema è arrivare a prendere coscienza dell’essere, dell’identità ormai definita dal Vaticano II (AG 2). Per questo, “la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273). “Io sono una missione”, è la conseguenza che si trae leggendo pagina a pagina l’Esortazione; la coscienza di essere parte di una relazione comunicativa dalla quale non mi posso scaricare. È un’espressione che non ha bisogno di molti ragionamenti e che invita a collocarsi pienamente a disposizione del annuncio.
Tuttavia, queste parole del Papa Francesco non sono nuove; esse si trovano nella linea di pensiero di Papa Benedetto. Anche lui era cosciente della necessità di una conversione missionaria incominciando dall’approfondimento della vita di fede[6]. Si tratta di una conversione di tutta la comunità a Cristo. La fede ha un dinamismo comunicativo centrifugo, ma prima deve dirigersi al centro, al Vangelo, vivere la dinamica centripeta che unifica e rende feconda la testimonianza e l’annuncio conseguente. Questo era l’obiettivo dell’Anno della Fede. Cioè, “risvegliare il desiderio, da parte di tutta la comunità cattolica, di riappropriarsi con gioia e gratitudine dell’incommensurabile tesoro della nostra fede. Con il progressivo indebolirsi dei valori cristiani tradizionali e la minaccia di un tempo in cui la nostra fedeltà al Vangelo può costare cara, la verità di Cristo non ha bisogno solo di essere compresa, articolata e difesa, ma anche di essere proposta con gioia e fiducia come chiave della realizzazione umana autentica e del benessere della società nel suo insieme”[7]. Si tratta di “riscoprire la gioia di credere”, un altro modo di dire “la gioia del Vangelo”. La gioia della fede fa nascere l’entusiasmo per la comunicazione del Vangelo.
[1] “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede. C’è una stretta connessione tra questi due elementi: la trasmissione della fede cristiana è lo scopo della nuova evangelizzazione e dell’intera opera evangelizzatrice della Chiesa, che esiste proprio per questo” (Discorso del Santo Padre Francesco, ai membri del XIII Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, Sala del Concistoro, Giovedì, 13 giugno 2013).
[2] Cf. J. M. Bergoglio, In Lui solo la speranza. Esercizi spirituali ai vescovi spagnoli (15-22 gennaio 2006), Jaca Book-Libreria Editrice Vaticana, Milano – Città del Vaticano 2013, 74.
[3] Card. J. M. Bergoglio, Cultura y religiosidad popular, religiosidad popular como inculturación de la fe en el espíritu de Aparecida, Buenos Aires, 19 de Enero de 2008.
[4] Card. Jorge Mario Bergoglio, Discepoli e missionari, affinché in Lui abbiano vita, 1 octubre 2007, en Card. Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco, Riflessioni di un Pastore. Misericordia, Missione, Testimonianza, Vita, LEV, Ciudad del Vaticano 2013, 200-201.
[5] “Infine, la fecondità e la solidità dell’evangelizzazione dipendono naturalmente dalla qualità del clero”. (Discurso del Santo Padre Francisco, A los obispos de la Conferencia Episcopal del Chad, en visita “ad limina apostolorum”, Jueves, 2 de octubre 2014).
[6] Nella mente di Papa Francesco il termine “conversione” non si riferisce unicamente alla vita interna personale, sempre necessaria; la conversione ha anche una dimensione pubblica nel vivere concreto. Da qui il richiamo frequente ai pastori perché non cadano nel carrierismo e le apparenze di grandezza, ma vivano nella semplicità. La conversione deve portarci all’altro, al povero; i suoi effetti si possono controllare, poiché la vera conversione porta vita e speranza.
[7] Discorso ai presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America (di riti Orientali) (Regione XIV-XV), in visita “ad limina Apostolorum”, Venerdì, 18 maggio 2012; www.vatican.va (21/10/2012).
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